In questo articolo parliamo della relazione tra il cibo e le emozioni, cercando di comprendere meglio la dimensione psicologica che si cela dietro i nostri comportamenti alimentari e il nostro rapporto con il cibo.
Il cibo è da sempre un elemento di convivialità e condivisione. Condividere un pasto stringendosi intorno ad un tavolo è una pratica comune negli appuntamenti di lavoro o incontri confidenziali in cui il tema comune è la comunicazione.
Non è un caso infatti che la bocca sia lo stesso canale utilizzato sia per la comunicazione verbale che per il nutrimento del corpo fisico. Attraverso la bocca, infatti, si avvia la prima fase della digestione degli alimenti di cui ci nutriamo, grazie alla masticazione che stimola la produzione di ptialina (enzima secreto dalle ghiandole salivari che permette la scissione dell’amido in maltosio).
Ma facciamo un passo indietro tornando a quando da neonati abbiamo sviluppato, attraverso la suzione, l’attitudine a “succhiare” dall’esterno il nostro nutrimento.
Il latte materno, con il suo sapore dolce, rappresenta il primo contatto che instauriamo con il cibo e le modalità e i tempi con cui ci viene somministrato influenzeranno, in parte, il nostro rapporto con l’alimentazione.
E’ convinzione comune associare al pianto del neonato il suo bisogno di essere nutrito, ed è per questo che il gesto di avvicinarlo al seno diventa spesso una risposta automatica ogni volta che il piccolo tenterà di comunicare qualcosa.
Crescendo, dal latte passeremo al ciuccio (spesso con il miele o lo zucchero), diventando così sempre più bisognosi di qualsiasi sostanza sia in grado di riportarci a quella sensazione “dolce” e rassicurante.
Mettere in atto questi gesti in modo meccanico, pensando di procurare sollievo al bambino, ci evita di ascoltare ciò di cui in realtà ha bisogno in quel momento.
Spesso il pianto è indicativo di un bisogno di contatto affettivo che esula dalla richiesta di nutrimento.
Il desiderio di sapore dolce infatti è notoriamente associato ad uno stato di carenza affettiva, per questo ci ritroviamo spesso ad assumere alimenti dolci nei momenti in cui ci sentiamo bisognosi di qualcosa.
Ci rendiamo subito conto però che la dolce sostanza che introduciamo non è in grado di soddisfare a pieno il nostro bisogno. Perché?
Semplicemente perché ciò che pensiamo essere un bisogno legato al corpo in realtà rappresenta un desiderio nutrito dalla mente, che tenta costantemente di spostarci dal momento presente.
Torniamo a quanto detto sugli automatismi e quindi ai gesti ripetuti in modo meccanico: se da bambini, nei momenti in cui abbiamo cercato di esprimere un disagio emotivo, siamo stati abituati a ricercare all’esterno qualcosa che ci gratificasse e generasse in noi uno stato di apparente rassicurazione, struttureremo un atteggiamento che continuerà a seguire sempre la stessa modalità.
Il cibo viene utilizzato spesso per sedare emozioni che abbiamo paura di non riuscire a gestire o che giudichiamo impropriamente in modo negativo.
Il dolce rappresenta quindi il modo che utilizziamo per cercare di “addolcire” quegli aspetti di noi che non amiamo.
La rabbia, ad esempio, è una di quelle emozioni che viene spesso classificata in modo negativo, perché reputata come minacciosa e difficile da gestire.
Da bambini sarà capitato a tutti di provare rabbia, ma nel tentativo di esprimerla potremmo aver ricevuto come risposta un rifiuto. La conseguenza è che questo rifiuto genererà in noi un bisogno che dovrà essere compensato da qualcosa di esterno.
Lo stomaco, oltre ad essere il filtro emozionale del nostro corpo, è l’organo attraverso il quale continuiamo il processo di digestione degli alimenti ingeriti ed è associato al sentimento di rifiuto.
Per cui, rifiutare le nostre emozioni ci predisporrà necessariamente a sentirci carenti in qualcosa e quindi bisognosi di ricevere dall’esterno la nostra dose di nutrimento.
Il senso di fame e la tensione emotiva vengono spesso confuse proprio perché non ci permettiamo di ascoltarci, infatti nella maggior parte dei casi reagiamo in modo meccanico.
La fame non si manifesta in modo improvviso, cosa che invece succede se tentiamo di controllare le emozioni attraverso il cibo, manifestando così una fame compulsiva.
Molti di noi infatti non sono in grado di esprimere le proprie emozioni. Questa difficoltà potrebbe derivare dalla nostra infanzia, quando abbiamo ricevuto il rifiuto da un genitore nel momento in cui abbiamo cercato di esprimerci emotivamente.
Questo trauma emotivo potrebbe generare anche il rifiuto verso noi stessi ogni volta che tenteremo di dare voce a ciò che sentiamo.
Tornando al rapporto con il cibo, abbiamo compreso quindi che utilizziamo la bocca non per comunicare il nostro stato emotivo, ma per continuare a nutrire, attraverso il cibo, l’idea che abbiamo di noi stessi.
Ma perché evitiamo di vivere le nostre emozioni ed utilizziamo il cibo come mezzo per controllarle?
Digerire è anche sinonimo di accettare. Il fatto di non essere stati accolti nel momento in cui da bambini abbiamo cercato di dare espressione a ciò che sentivamo, non deve precluderci la possibilità di fare da soli il primo passo verso noi stessi.
Solo amando gli aspetti di noi per i quali ci siamo sentiti rifiutati e messi all’angolo, ci consentirà di riappropriarci della piena responsabilità della nostra salute, dove ogni ferita cessa, proprio quando smettiamo di “alimentarla”.
L’amorevolezza che rivolgiamo a noi stessi si può tradurre in gesti semplici mirati ad accogliere e a soddisfare i nostri bisogni reali.
Parliamo di bisogni reali perché non è così scontato saper riconoscere ciò di cui abbiamo davvero bisogno da ciò di cui pensiamo di averne.
E’ una questione di consapevolezza, che dobbiamo portare anche nella nostra alimentazione.
Parlando di alimentazione consapevole, aspetto cardine dell’approccio naturopatico e dell’attitudine a prendersi cura di sé, il desiderio di cibi con uno specifico sapore non è sempre sinonimo di una carenza e quindi di un bisogno reale del nostro organismo.
I sapori degli alimenti ed il desiderio marcato che mostriamo verso uno di essi ci porta in realtà a pensare ad un deficit energetico dell’organo associato e di conseguenza al tentativo di mettere a tacere l’emozione connessa.
Se il desiderio impellente di un dolce rappresenta il nostro sedativo per la parte più infantile di noi che vorrebbe essere rassicurata ed accudita dall’altro, il bisogno di cibi salati è espressione della paura che abbiamo di farci carico in pieno di noi stessi, perché ci sentiamo insicuri di vivere secondo la nostra natura.
In definitiva, la mancanza di fiducia ed il bisogno di sicurezza che non sappiamo ricercare dentro di noi, ci spingono a cercare gratificazioni e conferme esterne, senza le quali abbiamo paura di non poter vivere.
Ma finché il cibo rappresenterà il mezzo attraverso il quale spegnere quelle parti di noi per le quali siamo stati rifiutati e che non ci siamo mai concessi di vivere, ci perderemo la sorpresa di scoprire che possiamo imparare a nutrirci anche dall’interno, cambiando il modo di vedere noi stessi.
Risorse utili
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Gli Organi si Alimentano di Emozioni Massimiliano SpanoCompralo su il Giardino dei Libri |
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